USUI REIKI RYOHO: IL METODO DEL REIKI DI USUI
L’Usui Reiki Ryoho – letteralmente terapia del Reiki di Usui, ma più comunemente noto come Metodo del Reiki o semplicemente Reiki – nasce nel 1922 grazie ad un’intuizione del ricercatore spirituale giapponese MIKAO USUI.
Dopo aver trascorso un periodo di 21 giorni di pratica ascetica sul monte Kurama (sulle colline a nord di Kyoto, Giappone), il maestro Usui codifica infatti una metodologia pratica e di facile comprensione per il miglioramento di mente e corpo e per l’evoluzione dell’essere umano.
Assunto fondamentale del metodo del Reiki è che la guarigione fisica non può essere disgiunta dalla condizione interiore della persona e dalla sua progressione verso uno stato di elevazione spirituale, da ricercarsi (in questo caso) attraverso la pratica costante degli strumenti che compongono la metodologia del Reiki, i quali derivano da diversi ambiti della tradizione giapponese (spiritualità, medicina tradizionale e arti marziali).
La valenza del Reiki ryoho è quindi duplice. Se da un lato lo scopo principale è l’evoluzione spirituale della persona proiettata verso la realizzazione dell’ANSHIN RITSUMEI (l’assoluta pace interiore, cioè l’illuminazione intesa nel senso buddhista), dall’altro il conseguimento della condizione di vuoto e di silenzio interiore permette di raggiungere il senso di unità con uno stato di energia superiore (definito REI), per entrarvi in risonanza e per poterla quindi trasmettere a se stessi o agli altri, trasformando la pratica spirituale in un’arte di guarigione. Paradossalmente si potrebbe affermare che gli effetti del Reiki relativi alla guarigione, consistono in un effetto collaterale riconducibile all’elevazione individuale che porta alla comunione con la FORZA SPIRITUALE (che è il significato letterale del termine REIKI).
Il kanji REI rappresenta l’energia primigenia, la matrice di ogni cosa, la fonte pura ed inesauribile che dà origine e sostiene la vita. Il kanji KI, indica invece l’energia individuale, la forza vitale che scorre nel sistema energetico di ogni essere vivente e che, a differenza del REI, è destinata ad esaurirsi ponendo fine al ciclo vitale dell’individuo.
Per semplificare: possiamo considerare il REI come l’oceano, mentre il KI come la singola particella d’acqua che per un istante vi si separa, per tornare poi a ricongiungersi con esso al termine della parabola individuale definita vita. Il REI è la forza impersonale del tutto, il KI una parte infinitesimale del REI che si manifesta in forma individuale e che acquisisce una vita e una coscienza propria per un periodo limitato, al termine del quale si estingue per tornare alla fonte da cui aveva preso origine. La risonanza con il REI tonifica e rigenera il KI, con effetti positivi su corpo, mente e spirito della persona che ne entra in contatto.
La realizzazione dello stato di unità con il REI può apparire come un concetto complesso o di difficile realizzazione. In realtà, come accennato in precedenza, il corpus del Reiki è costituito da pratiche semplici e alla portata di chiunque, ma che vanno praticate per raggiungere gli effetti e i benefici descritti in precedenza. NON E’ VERO che per praticare REIKI bisogna essere “ATTIVATI” da un maestro che si suppone “apra dei canali” o faccia degli allacciamenti come un tecnico che installa un impianto di ADSL!
Le iniziazioni fanno parte della metodologia originaria e derivano dall’ambito del buddhismo giapponese, ma in occidente sono state profondamente mal comprese e travisate, come purtroppo gran parte della metodologia che è stata trasformata in modo tale da essere irriconoscibile rispetto ai principi originari e al punto da trascendere nel ridicolo.
Bisogna a tal proposito tenere ben presente che nel codificare il suo metodo del Reiki, il Maestro Usui non ha inventato nulla di nuovo ma ha condensato in maniera organizzata e coerente, varie pratiche ed insegnamenti che affondano le loro radici nella cultura, nella tradizione e nella spiritualità giapponesi e più in generale dell’Estremo Oriente, oltre ad approcci e tecniche di derivazione occidentale che ai suoi tempi (agli inizi del XX secolo) erano all’avanguardia. La sua intuizione e il pensiero fondante alla base dell’approccio del maestro Usui, è stato di rendere disponibile per tutti una disciplina semplificata ma molto efficace, fondata su insegnamenti e pratiche che normalmente richiederebbero anni di studi per essere compresi e padroneggiati a dovere. Va tenuto ben presente che semplice non significa semplicistico e quindi di scarso valore: Usui sensei è stato molto abile nel costruire un approccio estremamente efficace e basato percezione e sensibilità, piuttosto che sul nozionismo e su un enorme bagaglio di conoscenze teoriche. Si potrebbe dire che il Reiki è basato sul principio secondo il quale “vale più la pratica della grammatica”.
In questo modo, secondo le sue parole, chiunque avrebbe potuto trarre vantaggio dai benefici del suo metodo del Reiki, per il bene dell’umanità.
Ma in che modo dunque si può raggiungere lo stato di unità con il Rei e trasmetterlo a sé stessi o ad altri?
La prima cosa da considerare è che ogni essere umano ha insita dentro di sé l’innata capacità di entrare in comunione con le forze spirituali, attraverso il raggiungimento di una condizione di profonda quiete interiore, sebbene lo stile di vita moderno abbia fatto perdere ai più la coscienza di poterlo fare. Di fatto è una caratteristica innata, ma che poche persone in età adulta riescono ad utilizzare.
Per questo motivo il Reiki originario comprende numerose tecniche di respirazione, meditazione e auto-potenziamento (da eseguirsi in maniera individuale o in gruppo), utili ad allenare il praticante a raggiungere quello stato di rilassamento profondo, di “non mente” e di percezione dello scorrere dell’energia, su cui si fonda il sistema Reiki.
Una volta in “simbiosi” con il REI, l’operatore sarà in grado di incanalarlo e trasmetterlo a sé stesso o ad un soggetto ricevente poggiando le proprie mani e lasciando scorrere l’energia attraverso il proprio corpo, ponendosi in sostanza come un canale che riceve e trasmette, o come una spugna che assorbe ed emette.
Il concetto di neutralità è particolarmente importante poiché è quel che differenzia il Reiki da altre tecniche bioenergetiche nelle quali l’operatore trasmette la propria energia individuale e/o assume su di sé quella della persona trattata (ad esempio pranoterapia, wai qi liao fa e i metodi di guarigione popolari). Nel Reiki, al contrario, è il Rei a venire trasmesso scorrendo in maniera unidirezionale (evitando il ritorno) e NON la propria energia individuale (il KI).
La metodologia pratica del Reiki è composta da un gran numero di tecniche di trattamento, suddivise in vari livelli.
L’operatore principiante segue normalmente dei kata, ossia delle sequenze di posizioni prestabilite, nelle quali le mani vengono innanzitutto posizionate in corrispondenza di organi vitali e plessi, per poi trattare in un secondo tempo eventuali zone problematiche.
Gli operatori più esperti, che con il tempo avranno acquisito una maggiore sensibilità, si muoveranno invece in maniera più libera alla ricerca di particolari sensazioni che indichino la presenza di un BYOSEN, ossia di un disequilibrio energetico all’origine dei disturbi che il ricevente può accusare.
Le sedute vengono praticate su un lettino da massaggio o a terra (come tradizione in Giappone). Il ricevente è passivo e sovente nel corso della seduta sperimenta una sensazione di profondo rilassamento, che a volte trascende in una sorta di dormiveglia vigile oppure nel sonno. Il rilassamento profondo indotto dal Reiki permette (tra i vari effetti) di rilasciare in profondità tensioni muscolari, rigidità, di permettere al corpo di innescare i naturali meccanismi di depurazione e disintossicazione, di rigenerare i tessuti (è impressionante constatare gli effetti del Reiki su ferite, sanguinamenti, bruciature, punture di insetti), di alleviare il dolore e gli stati d’ansia. Per questo motivo, pur non essendo scientificamente provato, è stato introdotto in molti ospedali in particolare nei reparti di oncologia, oncologia infantile e negli hospice.
Le sedute possono essere organizzate come quelle di altre discipline affini, cioè con trattamenti regolari una volta o due alla settimana, ma per avere un impatto più importante ed immediato, si può operare in cicli di quattro trattamenti consecutivi.
A seconda delle tecniche praticate, un trattamento ideale dura all’incirca un’ora, ma si raggiungono risultati importanti anche con trattamenti di mezz’ora, praticati con regolarità e dipendendo anche dall’esperienza dell’operatore. Nel caso del trattamento di condizioni croniche, la regolarità delle sessioni (questo vale in generale per ogni tipo di approccio), è fondamentale. Tra le varie opzioni di lavoro è previsto il trattamento multiplo (shuchu Reiki), nel quale diversi operatori (a volte anche dieci o più), trattano una persona sola, oppure il trattamento delle cattive abitudini (seiheki chiryo), per influenzare positivamente vizi, abitudini croniche, attitudini distruttive. Con tecniche avanzate è possibile effettuare dei trattamenti a distanza (con risultati concreti tanto quanto nei trattamenti a contatto). Nella metodologia originaria, sono previste anche numerose tecniche di massaggio basate su percussione, sfregamento e pressione, oltre a diverse tecniche di scambio del sangue (ketsueki kokan ho) e disintossicanti (gedoku ho), per stimolare l’organismo a rigenerarsi e a liberarsi delle scorie e delle tossine.
IL REIKI IERI E OGGI
Le vicissitudini storiche (seconda guerra mondiale e successiva occupazione del Giappone) hanno portato il Reiki vicino all’estinzione proprio nel suo paese d’origine, al punto che se quest’arte è giunta sino a noi è in gran parte grazie a studiosi e ricercatori occidentali. Il merito principale va attribuito alla maestra Hawayo Takata, giapponese residente alle Hawaii, iniziata al Reiki negli anni 30 e che nel corso della sua vita e fino alla sua morte (1980), si è dedicata a mantenere vivo e diffondere il Reiki negli Stati Uniti. Grazie a lei il Reiki è sopravvissuto in occidente e per questo motivo diversi ricercatori a partire dagli anni novanta, hanno potuto far tornare alla luce il Reiki originario in Giappone, scoprendo persone anziane ma ancora in vita, che avevano imparato il Reiki direttamente dai maestri fondatori (in particolare dal maestro Hayashi, allievo diretto di Usui), che hanno permesso di ricucire lo strappo durato quasi sessant’anni con i lignaggi originari e di ricreare una continuità e una coerenza strutturale con il Reiki delle origini.
Molto lavoro è stato fatto e molto ne rimane. La ricerca prosegue, dal momento che continuano ad emergere nuovi documenti e nuove informazioni, che insieme ad una pratica assidua, permettono di ricostruire la forma del Reiki originario. Mi piace pensare al Reiki come a un vaso prezioso frantumatosi in mille pezzi e i cui frammenti sono stati mescolati con i cocci di altri vasi. Questo è ciò che è successo in occidente, dove il Reiki è stato mischiato senza nessuna coerenza e senza ritegno con qualsiasi altro approccio, pensiero, moda o idea.
Molti si accontentano di mettere insieme dei pezzi che non combaciano, attaccandoli in maniera precaria e forzata, pretendendo che quel pasticcio che ne risulta sia il vaso originario. Altri, tra cui il sottoscritto, setacciano con cura certosina i vari pezzi, studiandoli per verificare se combaciano con gli altri frammenti del vaso. Ogni prezioso frammento viene poi unito agli altri con cura e amore, come se idealmente si utilizzasse la tecnica giapponese del Kintsugi, cioè l’arte di riparare gli oggetti rotti utilizzando una pasta d’oro per esaltare in tal modo l’aspetto vissuto dell’oggetto. È così che vedo la ricerca sul Reiki.
Lo scopo comune dei ricercatori seri e dei veri appassionati del Reiki, nel rispetto del lavoro e della figura del maestro Usui, è quello di far sì che la sua eredità, un secolo dopo la sua intuizione, venga raccolta da persone che dedicano una gran parte della loro vita a prendersi cura del metodo che egli ha creato e che ha lasciato come dono – secondo le sue parole – per il bene dell’umanità intera. Perché gli sforzi del maestro non siano stati vani e perché il suo prezioso lascito venga preservato con cura.
Questo lavoro è lontano dall’essere concluso e molto resta ancora da scoprire… per fortuna!